Descrizione
Non c’è più Aldactazide, ovvero, il senso della vita secondo Girolamo Minardi.
Un’opera prima densa di nostalgia per gli epici anni Sessanta, quando si sono vissuti “i nostri tempi migliori”, quando il sogno di una vita più giusta per tutti sembrava a portata di mano, sospinto com’era dall’entusiasmo dei giovani, dal rigore dei movimenti studenteschi.
Ora, tutto è cambiato, è il pensiero che affiora nell’amarezza e constata che “le rivoluzioni in tanti anni di storia, le solenni dichiarazioni dei diritti dell’uomo, non siano mai state considerate”.
“È l’indifferenza il peggiore dei nostri mali”. Lo dice Oscar Ianni, lucido protagonista della vicenda interiore raccontata da Minardi. Sì, perché questo romanzo è scritto col trasporto lirico di chi detta un testamento ideale, il pensiero di uno che è la somma del pensiero di una generazione, di un sogno collettivo.
Un viaggio in SudAmerica, lì dove oggi fiorisce quel sogno da noi vivo mezzo secolo fa. Sensazioni profonde in cui passione e storia si uniscono in un humus pregevole. “La razza umana è piena di passioni […] e ciò è un bene” dice Oscar Ianni.
Oscar viaggia, osserva, incontra e riflette. Un invito a uno splendido esercizio che leggendo si pratica senza noia. Cosa dà più dignità alla vita? Aleggia il vecchio sogno: lo stato sociale. Da noi, invece, tra la gente comune, pur nello scintillio della società dei consumi, imperano solitudine, isolamento, povertà.
Giovani e vecchi abbandonati al proprio destino proprio come nella vicenda raccontata da Oscar e che dà spunto al titolo del romanzo: l’anziano vicino, che prende mezza compressa di aldactazide per lo scompenso cardiaco e che, d’un tratto, nell’incredulità, è cancellato dai farmaci prescrivibili. “Che significa? – chiede l’anziano al farmacista – che non possiamo più curarci?”.
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